Il Caffè di oggi (vedi qui) dà notizia di una conferenza in cui Benedetto Antonini ha denunciato lo «scempio del territorio» ticinese avvenuto negli anni passati. L’ex-capo della pianificazione del cantone si associa così all’allarme lanciato in estate da Marco Solari (vedi qui) il quale per uscire dalla crisi del turismo propone «una coscienza più conservatrice» che consenta di salvare ciò che resta di «un paesaggio in parte rovinato», additando come esempio «lo sconquasso del Pian Scairolo» (vedi qui). L’autocritica di questi due personaggi autorevoli - che di quello “scempio” hanno pur qualche responsabilità - fa certo piacere ma suscita anche perplessità.
E’ evidente che nel passaggio alla modernità il “Ticino rurale” non ha mai saputo, e ancora non sa, conciliare la nuova situazione con la sua tradizione; da lì sono derivati i molti disastri che oggi vengono denunciati. A mio parere sarebbe però un disastro maggiore se oggi si proponesse di salvare le poche oasi di tradizione rimaste negando le esigenze della modernità: un pericolo forse insito nell’invito di Marco Solari a salvaguardare semplicemente le stradine e le atmosfere romantiche. Mi sembra più stimolante Benedetto Antognini, il quale sa che un territorio è «attrattivo per i turisti perché, oltre alla richiesta di svago, soddisfa quelli di arricchimento socio-culturale, e nel contempo caratterizza identità, memoria, personalità dei residenti: mi rendo sempre più conto che uno dei pochi anticorpi alla perdita dell’identità dovuto alla globalizzazione, è l’essere in sintonia con il proprio ambiente».
Questa problematica concerne da vicino VivaGandria. Abbiamo proposto un’inventario dell’insediamento, perché è giusto fare una fotografia dell’esistente. Abbiamo proposto con una petizione la salvaguardia di Gandria, che non vogliamo però trasformare in un museo. Dobbiamo definire un programma per poter fare un progetto, nella convinzione che Gandria può e deve svilupparsi. I tempi, date le decisioni che dovranno prendere prossimamente il municipio e il consiglio comunale, si stanno facendo stretti. Anche gli spazi tra conservazione e trasformazione sono stretti; come ci ricordava Tita Carloni forse a Gandria bisognerà “costruire poco e adagio”.
Sono convinto che i prossimi mesi ci richiederanno lavoro e concentrazione sull’essenziale. Voi che ne pensate?